La legge italiana

Normative

In Italia la caccia con l’arco è legale, in quanto regolarmente prevista dalla legge quadro nazionale n°157 del 1992.
Le Regioni possono  normare l’attività venatoria sul proprio territorio in modo restrittivo rispetto a questa legge.
Accade così che la situazione è estremamente disomogenea, quindi chi volesse praticare ha il dovere di verificare la situazione nella propria zona, fermo restando che la procedura di base è assolutamente identica alla caccia con le armi da fuoco.


In linea di massima la mancanza di uniformità normativa è dovuta al fatto che la caccia con l’arco fino ad un po’ di anni fa era praticamente inesistente in Italia in termini di numero di praticanti.

I pochissimi che erano attivi si muovevano soprattutto nell’ambito delle Aziende Venatorie o si recavano all’estero.

Questa mancanza di domanda ha fatto sì che al momento di stendere i vari regolamenti le istituzioni si sono semplicemente “dimenticate” di inserire le voci riguardanti l’uso dell’arco, non essendoci persone che posero il problema. Dal momento i regolamenti regionali riguardanti il prelievo degli ungulati somno di tipo restrittivo rispetto alla legge nazionale nella specifica dei modi e mezzi di caccia, spesso l’arco non è riportato, quindi non essendo specificato come autorizzato è implicitamente non utilizzabile. Laddove per redigere i regolamenti è stato fatto una sorta di “copia e incolla” dalla 157, allora l’arco “casualmente” è stato riportato; quando invece si sono fatti dei distinguo, molto spesso non è nominato.

Si capisce quindi che praticamente nella totalità dei casi non c’è una volontà del legislatore di vietare l’uso dell’arco, ma il più delle volte è una sorta di “dimenticanza”.
Purtroppo questa situazione crea parecchi problemi, in quanto mettere mano alle norme è sempre un processo lungo e richiede una voce sociale abbastanza autorevole; si tratta quindi di poter essere credibili e attivi per intervenire presso ogni singola regione per far valere i nostri diritti.

Un processo lungo e impegnativo, che però in alcune zone è stato impostato e sta dando i suoi frutti.


Quanto detto vale per la caccia in territorio libero (ATC – CA) alla grossa selvaggina. Per la piccola selvaggina il più delle volte non ci sono problemi (sempre verificare) e così nelle Aziende Faunistico venatorie previo ovviamente consenso della gestione. Attenzione che vi sono alcune regioni che non prevedono l’uso dell’arco già a livello regionale, ad esempio Emilia Romagna, Sardegna... quindi in questi casi ovviamente non si può intervenire nei regolamenti provinciali.


A livello Europeo la situazione è non meno variegata. Ormai molte nazioni consentono l’uso dell’arco, ma spesso in modi diversi. Per informazioni si può fare riferimento alla European Bowhuning Federation  che si muove per diffondere la conoscenza della caccia con l’arco in Europa, aggiornare ed unificare le normative e provvedere ad una sorta di protocollo di formazione dei cacciatori con l’arco.

La licenza di caccia

Per praticare la caccia, con qualunque dei mezzi previsti dalla legge (fucile, arco, falco) è necessaria la licenza di caccia, la quale autorizza non tanto e non solo all’uso del fucile, quanto autorizza al prelievo della fauna selvatica nei modi e nei tempi previsti dai vari regolamenti.
La cosa è impegnativa, quindi può valer la pena un breve panorama per rendersi conto della situazione.

Innanzitutto per ottenere quella che per semplicità definirò la Licenza di caccia, è necessario che il candidato sia persona integerrima. Il cacciatore non può avere avuto alcun precedente con la giustizia, nemmeno per fatti lievi: la fedina penale deve essere intonsa.


Detto questo è necessario fare una richiesta in Regione per poter essere ammessi all’esame. Sovente la preparazione all’esame è supportata da un corso generalmente tenuto da Associazioni venatorie (ma potrebbe essere anche a cura di altri soggetti) che richiede la relativa iscrizione all’associazione stessa. L’esame è scritto e, se passato, orale, di fronte ad una commissione composta da esperti delle varie materie.


Oggetto dell’esame sono tutte le nozioni relative alla fauna selvatica, con note di biologia e il riconoscimento di tutte le specie.


- Bisogna conoscere, riconoscere, brandeggiare le armi da fuoco e le relative munizioni.


- Una parte consistente riguarda la complessa normativa sui modi e mezzi di caccia, con tutte le restrizioni del caso, tipologie di zone nelle quali è diviso il territorio italiano e relative regole di gestione. Infrazioni, ammende e organi di controllo. Doveri e responsabilità del cacciatore.


- C’è poi la parte relativa alla sicurezza del cacciatore e di terzi.
Si passa quindi a nozioni di pronto soccorso per i diversi incidenti che possono capitare nel bosco: cadute, malori, spari e altre amenità…


- Nozioni di agricoltura e rapporti con il mondo agricolo.


Passato l’esame (e non è affatto scontato…) si dovrà sostenere anche un esame pratico di brandeggio armi e di tiro, questo nel caso il candidato non abbia svolto il servizio militare, in quanto un soldato ha già acquisito tali nozioni.

Solo a questo punto si può fare richiesta in questura per il rilascio della documentazione (passano alcuni mesi…). Si entrerà così in possesso della Licenza di caccia che dura 5 anni, dopodiché andrà rinnovata, non senza aver passato visita medica con esame psico-fisico.

Stendiamo un velo pietoso sulla quantità di bollettini da pagare.
Conseguita la licenza si deve identificare il luogo dove si andrà a caccia.

Scordatevi di poter andare dove volete.

In fine, forse troverete (superando una serie di ostacoli e restrizioni) una zona di caccia che vi accoglie (solo quella nel vostro comune di residenza vi spetta di diritto… pagando). Potrà essere un ATC (Ambito Territoriale di Caccia) o un CA (Comprensorio Alpino), al quale dovrete iscrivervi (…pagando).
Ecco, ora potrete andare a caccia.

Ma solo dalla terza settimana di settembre a fine anno, e praticamente di quasi nulla! Potrete infatti cacciare solo la piccola selvaggina, ovvero uccellini vari (la lepre non è compresa…) e queste prede, con l’arco, non sono quelle ideali.

Per cacciare gli ungulati vi è un’altra lunga procedura alla quale sottostare.

La caccia agli ungulati è di “selezione”, ovvero si possono prelevare solo un piccolo determinato numero di capi, identificati ogni anno con una rigida procedura, i quali vengono assegnati nominalmente ad ogni singolo cacciatore.

Può così capitare che in un anno un cacciatore può (deve) prelevare, ad esempio, un capriolo di meno di un anno e una femmina adulta. Fatto questo ha chiuso la sua stagione di caccia.


Per accedere alla caccia di selezione si deve, ovviamente, superare un esame (scritto e orale) preparandosi con un corso specifico. E questo per ogni singola specie che si desidera cacciare, anche se spesso in una zona di caccia un cacciatore viene autorizzato a cacciare solo una specie di ungulati, ma questo in effetti varia in base alle regioni.
La caccia di selezione prevede una perfetta conoscenza della specie oggetto di caccia, con uno studio approfondito su biologia, morfologia, alimentazione, abitudini e molto altro. Non è ammesso che il cacciatore di selezione sbagli ad identificare il tipo di capo che gli è stato assegnato; in tal caso subisce una sanzione, che può consisitere in una sospensione temporanea dall'attività, fino ad una pena pecuniaria anche di alcune migliaia di euro . Inoltre egli durante l’anno deve partecipare alla gestione della specie impegnandosi in diverse uscite per i censimenti (conteggio dei capi in natura e verifica dello stato di salute) e in lavori per il mantenimento del territorio.


Non è neanche tollerabile che il cacciatore sbagli il tiro sul suo capo, magari ferendolo e perdendolo. Così deve anche superare una prova di tiro (4 centri su 5, altrimenti: a casa).
Infine il cacciatore in molte regioni non può uscire da solo, ma deve avere un accompagnatore, che è un altro cacciatore più esperto che ha conseguito la relativa abilitazione (corso, esame, bollettino…). Quindi spesso per un’uscita di caccia bisogna essere in due e seguire la procedura di avviso di uscita informando ogni volta la polizia locale o la guardia forestale, specificando orario e geolocalizzando la zona.


Altre cacce, come la lepre o il cinghiale, sono di “specializzazione”. Ovviamente anche qui si parla di corso, esame, abilitazione, tasse…
La cosa “divertente” è che spesso da una provincia all’altra, specialmente se in regioni diverse, non c’è il riconoscimento degli esami sostenuti. Così se per un anno ottenete il permesso per cacciare ad esempio il cervo in una zona diversa da quella vostra abituale, correte il rischio di dover rifare l’abilitazione! Oggi, con il passaggio alle regioni, si è finalmente ottenuto un nuovo esame secondo un impegnativo protocollo definito da ISPRA (molte ore, parecchi soldi), che abilita in una sola volta al prelievo di tutti gli ungulati, ed è riconosciuto a livello nazionale.


Tutte, ma dico TUTTE queste fasi, sono accompagnate dal disbrigo di un certo numero di pratiche burocratiche e da consistenti versamenti su vari conti correnti, molti dei quali da ripetersi ogni anno.
Forse a qualcuno è passata la voglia, o forse no.


Letto tutto quanto sopra, quando sentirete dire che i cacciatori escono quando vogliono, uccidono quello che vogliono e sono sterminatori della fauna, avrete un’idea di quanto ignorante (o in mala fede) sia la persona che proferisce tali parole.


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