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Selezione poco selettiva...

L’esigenza del contenimento del cinghiale ormai in Italia non è più esclusivamente argomento venatorio, ma è arrivata a toccare molti aspetti della vita sociale del paese: dai danni economici a problemi di pubblica incolumità.
Veniamo da molti anni di gestione affidata praticamente in esclusiva alle squadre dedite alla caccia collettiva, gestione decisamente fallimentare. Ovvero, molto soddisfacente dal punto di vista venatorio, ma disastrosa sotto ogni altro aspetto.
I cacciatori non sono stati capaci di fare i loro legittimo interessi in termini di prelievi, e nel contempo arginare le situazioni di richiesta di interventi che sempre con maggiore insistenza arrivavano dal mondo agricolo e da semplici cittadini.
Il risultato, come è sempre stato facile prevedere, è che ora nessun attore del tessuto sociale vuole più avere a che fare con i responsabili delle squadre, dai quali si sono tutti sentiti presi in giro, ma richiedono altri interventi più decisivi.

Non è certamente in grado di far fronte alle richieste il Corpo di Polizia, che molto si adopera in termini di interventi in situazioni a rischio, ma che a causa del numero di addetti assolutamente esiguo, non può intervenire in modo risolutivo; addirittura per far fronte all’emergenza si è anche valutato di far ricorso all’esercito, situazione paradossale e non applicabile, ma che dimostra quanto forte sia l’emergenza, di recente acuita dal problema incombente della PSA.
Il problema è che in Italia non esiste un istituto normativo specificatamente dedicato al prelievo del cinghiale al di fuori della caccia collettiva, così per tamponare la situazione si è deciso di far ricorso alla caccia di selezione.
Questa forma di caccia è dedicata agli ungulati - e il cinghiale è indubbiamente un ungulato - ma dalle caratteristiche profondamente diverse da tutti gli altri, sia per quanto riguarda le esigenze di gestione (ha poco senso applicare esclusivamente la piramide di Hoffman in quanto siamo più vicini all’attività di controllo che non a quella di gestione), sia per quanto riguarda le abitudini, (infatti essendo un animale quasi esclusivamente crepuscolare e notturno, non è pensabile avere prelievi consistenti attuando gli orari di caccia previsti per gli altri ungulati).
E i prelievi DEVONO NECESSARIAMENTE essere molto consistenti, dato che l’obiettivo è di ridurre dell’80% la popolazione: si parla quindi di migliaia di capi da prelevare in ogni regione.
Questo obiettivo non è raggiungibile con l’ordinamento attuale, né con la collettiva né con la selezione convenzionale.

Si è quindi deciso di adottare come base normativa la caccia di selezione, applicando una serie di correzioni per adattarla all’esigenza. Abbiamo un piano di prelievo che con le recenti evoluzioni è sostanzialmente illimitato, prevedendo non un tetto massimo, bensì un NUMERO MINIMO di prelievi, cosa che in effetti ha ben poco a che vedere con la caccia di selezione.
Inoltre si autorizza l’attività in orario notturno (non potrebbe essere altrimenti) e con l’ausilio ti torace o visori (accorgimento indispensabile per evitare il rischio di ferire molti animali).
Siamo quindi di fronte ad una caccia di selezione che indubbiamente tale non è se non di nome, ma siamo in questa situazione solo per il fatto che non abbiamo una normativa adatta a questo tipo di intervento, che oggi si ritiene semplicemente indispensabile, essendo addirittura stato definito di “pubblica utilità”!

A nulla valgono quindi le proteste di che si avventa contro questo tipo di intervento o perché “non si fa così la selezione” (vero, ma abbiamo detto che non è di questo che c’è bisogno) o perché si assimila questa attività al bracconaggio (posizione questa dettata solo dal rammarico di chi doveva pensare per tempo alle conseguenze del suo agire da stolto, ovvero chi ha gestito fino ad oggi la caccia collettiva).
Quando i numeri saranno rientrati e il rischio sociale sarà contenuto, allora questa forma di caccia rientrerà nella normalità, con numeri di capi nell’ordine di poche unità per ogni cacciatore, e con la quasi scomparsa, a mio avviso, della caccia collettiva, che si è praticamente suicidata.

In tutto questo l’arco ha una ottima possibilità di dimostrare la sua validità come strumento di prelievo. In questa situazione emergenziale sarà più facile ottenere possibilità di intervento, e quando avremo dimostrato che non abbiamo nulla di diverso in quanto a capacità di prelievo rispetto ai colleghi con le carabine, allora certamente ci si apriranno anche altre porte in ambito venatorio.
L’importante è fare le cose bene, dimostrare maturità e preparazione, e compiere sempre prelievi puliti e rispettosi del selvatico. E questo, abbiamo già ampiamente dimostrato di saperlo fare!


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